In questo saggio si mette in luce la relazione esistente tra il il cinema delle origini e il teatro di figura in Italia, includendo marionette, burattini e animazione d’oggetto. Già nelle sue forme più primitive il cinema incrocia alcune convezioni estetiche e spazi sociali del teatro di figura, e intrattiene con esso un rapporto che di rivalità e rispetto. Si tratta di un rapporto che continua e si evolve nei primi anni dello sviluppo dell’industria cinematografica, quando le antiche tradizioni del teatro popolare risultano impiegate all’interno del nuovo medium per accrescerne il potere espressivo. Questa prospettiva mostra come il cinema abbia dato nuova vita al teatro di figura introducendolo all’interno del suo tessuto estetico, complicando quindi l’idea comunemente condivisa di una “scomparsa” di questa forma di teatro popolare. Il saggio trova il nodo centrale di questa relazione intermediale nel gusto per il meccanico il miniaturizzato, e nel potenziale riflessivo del burattino, soffermandosi su casi quali L’inferno (1911), Pinocchio (1911), Cabiria (1914) e in modo particolare sul primo film di animazione italiano, La guerra e il sogno di Momi (1917).